mercoledì 6 dicembre 2017

Storia di Aidoborn: Capitolo 1/ Seconda parte








Attraversò a piedi nudi tutta la città, fino a salire sulla collinetta in fondo dove era difficile incontrare molti passanti e regnava il silenzio di una fiorente natura, con altissimi alberi che superavano le recinzioni, nascondendo alla vista le grandi ville nei paraggi.
I suoi occhi rimasero ad ammirare le grandi ville a più piani, i muri grigi o bianchi, estesi giardini con fontane sparse qua e là e fiori artificiali esportati da altri pianeti.
Aidoborn si sentiva attanagliato dal senso di colpa, ma tutto ciò si traduceva in un’estrema freddezza sulla sua espressione facciale. Aveva mentito ai suoi amici, non aveva nulla da sbrigare lì tra le ville dei ricconi di Uskàn.
Svoltò a sinistra e con un salto verso l’alto si arrampicò su un albero, con la coda che lo aiutò a sollevarsi per intero. Si sporse da un ramo claudicante, facendo attenzione a non sbilanciarsi troppo. Rimase per un po’ di tempo ad ammirare la grande villa bianca di tre piani, che si estendeva davanti a lui, con ampie vetrate, attraverso il quale si potevano osservare le spaziose stanze all’interno.
Aidoborn fece un salto verso il basso e rotolò sul prato. La luce azzurrina del giorno non illuminava molto la collina, ma nonostante tutto riconobbe comunque l’odore acre e nauseante dei cespugli disseminati qua e là per il prato, che otturava le sue narici, al punto da fargli quasi perdere i sensi, ma questa volta non si fece ingannare; quell’odore gli era ormai diventato familiare.
Udì delle parole: era una canzoncina, ma non in uskaniano. Tenendo premute le mani sulle narici, strisciò verso un cespuglio e dopo con la sinistra si creò un varco tra le foglie. La sua espressione mutò di colpo e sembrava che ogni organo del suo corpo potesse esplodere da un momento all’altro, ma frenò ogni suo istinto.
A pochi passi da lui, girato di spalle, c’era un alieno verde di media statura, dalla voce abbastanza cristallina da poter intonare una canzoncina, come stava facendo in quel momento. Il tono di voce iniziò ad abbassarsi drasticamente, quando rimase a fissarsi l’anomala mano destra, con la pelle più gonfia rispetto all’altra.


Come ogni sera Aidoborn entrò nella camera del fratello per assicurarsi che stesse dormendo. Si prendeva cura di lui da quando era piccolo, poiché era il minore dei due ed entrambi erano rimasti orfani in tenera età. I loro genitori erano deceduti in un incidente avvenuto in una delle miniere fuori città.

«Zeleny, perché sei ancora sveglio?»

Non rispose e si girò dall’altra parte, con la coda che fuoriusciva dalle coperte.

«Cosa ti turba, fratello?» insistette Aidoborn posandogli una mano sulla spalla.

Zeleny tremava e il fratello notò dei lividi evidenti sulla schiena.

«Cosa è successo? Avanti, parla!» incalzò a pugni stretti dalla rabbia.

«Sono sta-ti i pa-dro-ni…» rispose tremolante.

«Quei maledetti! La pagheranno cara!»

«Calmati fratello! Non puoi sfidarli. Non puoi sfidare i Geviona!»

I Geviona erano una delle casate più influenti su Uskàn e Zeleny era un loro servitore.

Aidoborn non smetteva di fissare i lividi sulla schiena del fratello e dalla sua testa straripò un fiume di odio, che pervase poi tutto il suo corpo. 


La notte era calata da un pezzo. Le guardie di ronda sui balconi sonnecchiavano. La corda si avvinghiò alla ringhiera, senza che se ne accorgessero. La prima figura uscì allo scoperto e, senza mostrarsi, strangolò la guardia di spalle, facendo attenzione ad attutire bene il tonfo sul pavimento. La luce fioca dell’esterno aiutò i due che si erano arrampicati fin lassù, a muoversi nell’ombra e ad atterrare altre guardie. La porta di vetro scorrevole era aperta e i due, con un cenno di intesa, entrarono.

Zeleny non riusciva ad orientarsi al buio: la luce emanata dalle loro torce elettriche era troppo debole. Si voltò indietro per assicurarsi di non aver perso il fratello. Quest’ultimo gli posò una mano sulla spalla per rassicurarlo.Svoltarono in un corridoio a destra ed entrarono nella seconda stanza sulla sinistra, ma luce delle torce rivelò loro che era vuota.Zeleny ebbe un sussulto, sicuro di aver condotto il fratello nella stanza giusta.

«Devi credermi, i diamanti erano qui, fino ad ieri. Li ho visti!»

Aidoborn gli lanciò un’occhiataccia e dopo, pensieroso, lo fissò intensamente, come a dire che qualcosa era andato storto. 

«Sì, ti credo, ma ora dobbiamo uscire da qui prima che arrivino altre guardie.»

Uscirono in fretta dalla stanza.

Un rumore metallico. Zeleny aveva urtato il gomito contro un oggetto appeso alla parete alla sua destra.Le luci si accesero di colpo. Una mano afferrò Zeleny per il collo e lo sbatté contro il muro.


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