mercoledì 20 dicembre 2017

Storia di Aidoborn: Capitolo 2/ Seconda parte




Aidoborn si sollevò da terra a fatica e, tenendo le mani premute allo stomaco, attraversò i corridoi, con gli occhi che vedevano solo immagini sfocate. Non poteva fare altro che andarsene, o sarebbe morto invano sotto i colpi letali di Zoldex e non avrebbe potuto vendicare Zeleny. Pensò di essere stato uno stupido a entrare lì dentro disarmato, non avrebbe dovuto spingersi oltre.

La rabbia lo accecava, ma era conscio che non poteva combattere senza avere un piano, o di questo passo la sua vendetta sarebbe stata solo un miraggio.

Mentre camminava per le vie deserte della città, gli parve di vedere riflessa un’ombra sui muri bianchi illuminati dalle torce; era sicuro che non fosse la luna nera della notte.

L’ombra correva e lui, con le poche energie rimaste, la inseguì, fino a quando essa non scomparve. Si piegò sulle ginocchia per l’affanno, poi si guardò intorno e riconobbe quella zona della città. Non riusciva a crederci: in quel casuale inseguimento aveva tagliato in due la città, giungendo fino al suo nascondiglio. Ripensò ancora ad Emibanto che, per uno strano motivo, gli aveva risparmiato la vita. Perché lo aveva fatto? 

Quel pensiero lo turbò; avrebbe preferito morire, piuttosto che ricevere indulgenza da quell’essere. Ma era ancora vivo e doveva sfruttare questa cosa a suo vantaggio. 


Tutti i presenti inveivano contro i due alieni rinchiusi in una stretta cella, all’interno di una grande aula di tribunale, in cui si accavallavano centinaia di voci.

«A morte!»

«Sono dei ladri, mozzategli la mani!»

«Bruciateli vivi!»

Aidoborn e Zeleny, in ginocchio e in silenzio, osservavano Amins Falean, il giudice di Uskàn.

Quest’ultimo, che era un insettoide giallo, aveva tre occhi fissi sulla folla e due antenne sulla testa che si drizzavano per captare meglio la tensione del momento. Si trovava con il corpo piegato in avanti, all’interno di un grosso recipiente di vetro in cui la sua testa era collegata con dei fili ad un casco metallico, con piccoli fori sulla superficie.

«Io, Amins Falean, condanno a morte i due imputati!» sentenziò il giudice davanti a tutti gli astanti.

«Voi siete un traditore delle leggi, un corrotto come tutti gli altri!» lo accusò Aidoborn.

«Frustatelo!» ordinò Falean ad alcune guardie.

Sentiva un dolore insopportabile sulla pelle, davanti agli occhi spaventati di Zeleny, con le frustate che riverberavano in tutta l’aula per la soddisfazione della folla che pretendeva giustizia.

Il sangue colava dal petto e subito dopo le guardie lo sollevarono, e lui, inerme, senza dire alcuna parola, era rimasto con la testa piegata in avanti.

Dopo i corpi di Aidoborn e di Zeleny furono trascinati a terra.

I due fratelli furono separati e Aidoborn, lasciandosi dietro per tutto il tragitto una sbiadita scia di sangue, con voce tremolante pronunciava il nome di Zeleny. 


Continua...

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