Aidoborn si sollevò da
terra a fatica e, tenendo le mani premute allo stomaco, attraversò i corridoi,
con gli occhi che vedevano solo immagini sfocate. Non poteva fare altro che
andarsene, o sarebbe morto invano sotto i colpi letali di Zoldex e non avrebbe
potuto vendicare Zeleny. Pensò di essere stato uno stupido a entrare lì dentro
disarmato, non avrebbe dovuto spingersi oltre.
La rabbia lo accecava, ma
era conscio che non poteva combattere senza avere un piano, o di questo passo
la sua vendetta sarebbe stata solo un miraggio.
Mentre camminava per le
vie deserte della città, gli parve di vedere riflessa un’ombra sui muri bianchi
illuminati dalle torce; era sicuro che non fosse la luna nera della notte.
L’ombra correva e lui, con le poche energie rimaste, la inseguì, fino a quando essa non scomparve. Si piegò sulle ginocchia per l’affanno, poi si guardò intorno e riconobbe quella zona della città. Non riusciva a crederci: in quel casuale inseguimento aveva tagliato in due la città, giungendo fino al suo nascondiglio. Ripensò ancora ad Emibanto che, per uno strano motivo, gli aveva risparmiato la vita. Perché lo aveva fatto?
Quel pensiero lo turbò; avrebbe preferito morire, piuttosto che
ricevere indulgenza da quell’essere. Ma era ancora vivo e doveva sfruttare questa
cosa a suo vantaggio.
Tutti
i presenti inveivano contro i due alieni rinchiusi in una stretta cella,
all’interno di una grande aula di tribunale, in cui si accavallavano centinaia
di voci.
«A
morte!»
«Sono dei ladri, mozzategli la mani!»
«Bruciateli
vivi!»
Aidoborn
e Zeleny, in ginocchio e in silenzio, osservavano Amins Falean, il giudice di
Uskàn.
Quest’ultimo,
che era un insettoide giallo, aveva tre occhi fissi sulla folla e due antenne
sulla testa che si drizzavano per captare meglio la tensione del momento. Si
trovava con il corpo piegato in avanti, all’interno di un grosso recipiente di
vetro in cui la sua testa era collegata con dei fili ad un casco metallico, con
piccoli fori sulla superficie.
«Io,
Amins Falean, condanno a morte i due imputati!» sentenziò il giudice davanti a
tutti gli astanti.
«Voi
siete un traditore delle leggi, un corrotto come tutti gli altri!» lo accusò
Aidoborn.
«Frustatelo!»
ordinò Falean ad alcune guardie.
Sentiva
un dolore insopportabile sulla pelle, davanti agli occhi spaventati di Zeleny,
con le frustate che riverberavano in tutta l’aula per la soddisfazione della
folla che pretendeva giustizia.
Il
sangue colava dal petto e subito dopo le guardie lo sollevarono, e lui, inerme,
senza dire alcuna parola, era rimasto con la testa piegata in avanti.
Dopo
i corpi di Aidoborn e di Zeleny furono trascinati a terra.
I due fratelli furono separati e Aidoborn, lasciandosi dietro per tutto il tragitto una sbiadita scia di sangue, con voce tremolante pronunciava il nome di Zeleny.
Continua...
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