venerdì 9 novembre 2018

Segnalazione di "Lo zaino è pronto, io no"



Titolo: Lo zaino è pronto, io no
Autore: Marco Lovisolo
Casa editrice: Youcanprint
Data uscita: dicembre 2016
Formato: cartaceo/ebook (epub, mobi, pdf)
Pagine: 279
Prezzo: cartaceo 17€ / ebook 4,99€
Link d’acquisto: amazon

Sinossi
Personaggi strampalati, incontri originali, situazioni bizzarre e piccoli disastri prendono vita nel corso di questo piacevole diario che ci accompagna in giro per il mondo, dall'Africa Orientale all'America Centrale, dall'India al Perù, dal Sud-est asiatico alla Patagonia. L'autore interpreta il viaggio come esperienza esistenziale e ricostruisce, con ironia e disincanto, gli aneddoti che hanno segnato indelebilmente i suoi straordinari vagabondaggi. Marco vive intensamente l'esperienza del viaggio in solitaria, abbandona le rigide convenzioni che regolano la sua esistenza quotidiana e segue un percorso di crescita interiore che lo porta ad affermare: «Ho capito che il viaggio è un'autentica forma d'arte perché rappresenta la vita nelle sue mutevoli sfumature, permette di conferire una nuova dimensione alle cose, ti inebria con il senso di libertà che sa regalarti. I viaggiatori, in realtà, sono artisti».







Estratto
Con un po’ di perplessità, decido di visitare i famosi campi di sterminio di Choeung Ek. Ormai ho capito che i taxi veri e propri nel Sud-est asiatico posso scordarmeli e così contratto un passaggio con un tizio in motorino. Lungo la strada questo simpatico personaggio mi racconta parte della sua vita e mi dice che alcuni suoi strettissimi parenti sono morti a Choeung Ek, cosa probabilmente vera, dal momento che lo sterminio di Pol Pot ha raggiunto dimensioni paragonabili a quelle dell’Olocausto nazista.

Eppure viene da chiedersi: perché i crimini di Hitler sono stati riconosciuti inequivocabilmente come tali mentre quelli dei khmer rossi no? Forse perché gli ebrei massacrati dai nazisti erano persone ricche dalla pelle bianca, mentre i cambogiani altro non erano che dei piccoli, insignificanti e poveri asiatici dalla pelle scura? O forse perché tutte le grandi potenze mondiali erano in qualche modo coinvolte e si sono alla fine ritrovate invischiate in un pantano dal quale era impossibile uscire con le mani pulite?

Scendo di fronte all’ingresso del campo di detenzione e mi guardo intorno. L’atmosfera è greve, pesante, come se il terrore di questo posto fosse ancora tangibile. Nessuno parla, il silenzio è opprimente e l’unico rumore che si riesce a percepire è il fruscio lontano del vento.
Scruto il cielo: ha un colore grigio ed è pieno di nubi che rendono il clima ancora più umido. Mi incammino verso il cancello, ascoltando i miei passi che risuonano sordamente sul terreno fangoso, compro un biglietto ed entro. Il posto è spettrale, lugubre, ancora intriso del dolore di migliaia di uomini, donne e bambini che qui sono stati trucidati dal regime guidato da un rivoluzionario accecato da un sogno criminale.

Chi ha riaperto questo luogo ha volutamente lasciato scoperte le fosse comuni che contenevano le ossa dei cadaveri, in modo che i visitatori possano rendersi conto dell’enormità dell’eccidio. Posare lo sguardo su questi campi è come osservare un corpo pieno di ferite che non si possono rimarginare.

Nel mezzo del campo principale c’è un edificio bianco al cui interno sono state depositate le ossa e i crani di quasi novemila vittime, molte delle quali ritrovate legate e bendate. Le reliquie sono ordinate su scaffali che occupano in altezza tutte le pareti, dal basso verso l’alto; quelle sul livello più alto appartengono a bambini di pochi anni.

Non c’è molta gente qui, a Choeung Ek. Io, qualche altro turista che si muove silenzioso e alcuni cambogiani dallo sguardo assente. Sono gli inservienti del luogo, addetti alla manutenzione, guide turistiche. Se li osservi con discrezione, puoi notare i loro movimenti narcotizzati, assenti, come se non fossero qui. E’ probabile che ognuno di loro, come il tassista che mi ha portato, abbia perso qualcuno qui, a Choeung Ek.

Con il cuore pesante giro un ultimo sguardo su questo luogo maledetto. Sento una risata gioiosa e la cerco con gli occhi. In lontananza vedo un bambino di quattro o cinque anni che corre lungo il bordo di una fossa comune: sta tentando di far volare un aquilone viola. Un bambino come migliaia d’altri che qui hanno perso la vita e ogni possibilità di futuro. Ma lui è qui, incurante di correre su un campo di morte, felice per quell’aquilone sgangherato che, a fatica, rimane sospeso in aria. Mi piace pensare che al suo fianco ci siano anche quei bambini che qui, a Choeung Ek, sono stati uccisi, tutti con il naso all’insù e lo sguardo acceso, rivolti verso quell’aquilone. La capacità di rinascere, di ricostruire a volte parte dalle piccole cose, forse anche da un semplice aquilone viola.

Biografia autore
Viaggiatore seriale, zaino in spalla e penna in mano. Umorismo pessimo e una passione smodata per il blues, il nebbiolo e Frankenstein jr.

Contatti autore

marco.lovisolo@gmail.com – 

Marcolovisolo

 

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