giovedì 27 dicembre 2018
4 minuti di recupero, storia del raccattapalle che batté la Juventus
Tre gradi sotto lo 0.
Minuto 90.
Il sole fa risplendere
l’umido prato verde, palcoscenico di una partita che sembra una battaglia.
La scritta rossa sulla
lavagnetta sollevata dal quarto uomo si stampa nella testa di tutti i presenti
allo stadio Atleti Azzurri d’Italia: calciatori, allenatori, tifosi, e forse
anche la stessa terna arbitrale (la pressione in partite come queste sale alle
stelle anche per gli arbitri, che vivono una partita nella partita).4 minuti di recupero.
Condanna o speranza? Chi lo
sa! Ma altri 4 minuti separano la squadra di casa dal traguardo. 4 minuti di
recupero. Solo 4. Che potrebbero fare la storia, dato che l’Atalanta non batte
la Juventus dal lontano 2001, quando sulla panchina orobica sedeva Giuseppe
Vavassori e su quella bianconera, Carlo Ancelotti. Un calcio di altri tempi.
Siamo sul 2-1 per gli orobici
contro gli attuali Campioni d’Italia. Più di 20 punti a dividere le due squadre
in classifica, ma la grinta in campo dei calciatori di casa annulla ogni
distanza. Corsa, grinta, sudore, spirito di squadra. Tutti fattori che
determinano l’andamento di una partita, e in certi casi non c’è davvero
classifica che tenga.
Ma mancano altri 4
minuti.Così pochi, ma che nella testa di tutti sembrano un’infinità. I tifosi
orobici sono in trepidante attesa. Scalpitano baldanzosi per una vittoria
insperata, ma meritata per ciò che si è visto in campo. Quelli bianconeri,
invece, sembrano non crederci più, oppure pensano che dopo tante vittorie una
sconfitta cambi poco o nulla. Per la matematica la Juventus è già Campione
d’Inverno. Cosa significa? Nulla, perché le somme si tirano sempre a Maggio.
Le lancette decretano gli
ultimi 240 secondi della partita. A dirla così sembra un’infinità da far sbalzare
fuori dal petto i fibrillanti cuori di tutti i presenti allo stadio, morsicati
dalla tensione.
Solo 4 minuti, eppure il
tempo sembra rallentare, come un’azione alla moviola in una puntata di Holly e
Benji.
Ogni secondo diventa
un’eternità.
La velocità si dimezza, si
annulla.
L’arbitro vorrebbe solo
mettere il fischietto in bocca per decretare la fine del match e tornarsene a
casa dalla propria famiglia. La partita è stata impegnativa e ha avuto molto da
fare tra fischi e cartellini.
Gli orobici vedono vicino il
tunnel degli spogliatoi, lontano solo altri 240 secondi, che intanto scorrono.
L’Atalanta si arrocca a
difendere nei pressi della propria area di rigore dalle frecce offensive della
squadra avversaria che giungono da ogni zona del campo.
Baricentro alto. La Juventus
ha tutta l’intenzione di lanciarsi all’assalto.
La muraglia umana della difesa orobica, ancora più temprata dal goal del vantaggio, sembra
inespugnabile. Il portiere è protetto come un re nella propria area piccola.
Non è più una partita di
calcio, ma una partita di nervi. La pressione è tanta. Una pressione maturata
tre giorni prima, quando entrambe le squadre hanno preparato la partita e le
loro tattiche di formazione e comunicative. Ma in campo, di tutto questo solo
la tensione ruggisce ancora nelle teste dei calciatori.In quegli ultimi 4 minuti si
prova di tutto. Emozioni contrastanti sballottolano continuamente lo stato
d’animo dei ventidue in campo.
La stanchezza si fa sentire.
C’è addirittura chi avverte i crampi, come se avesse giocato 120 minuti di una
partita di Champions League che si avvia verso i rigori. Ci sta. L’Atalanta,
squadra di “provincia”, ha dovuto mettere tutto in campo. I calciatori orobici
hanno dovuto spremersi come limoni, dare il 200%, pur di portare a casa una
vittoria contro la più blasonata Juventus. Uno sforzo doppio per stare a passo,
per sognare lo sgambetto agli avversari.
I secondi scorrono, come il
sudore. Copioso sulle maglie che si appiccicano alla pelle, come quell’impresa
pronta a compiersi, destinata anch’essa a tatuarsi per l’eternità nella mente
dei presenti allo stadio. Di chi ha avuto la fortuna di esserci.
A ogni secondo che passa
l’attesa sembra valere il biglietto.
In quegli ultimi minuti la Juventus
tiene il possesso palla.
Gli orobici si difendono a
denti stretti.
I bianconeri attaccano
sconclusionati, con tiri smorzati dal prato verde.
Trascorrono 2 minuti di
recupero, interminabili.
Ne mancano altri 2.
L’ala destra bianconera vede
la sovrapposizione di un compagno sulla fascia destra. Davanti a lui, però,
giganteggia il terzino sinistro degli orobici.
Una frazione di secondo per
pensare. Per un passaggio radente la linea laterale, per dare il via a un’azione
offensiva, premiando il movimento del compagno sulla fascia.
Lo effettua.
Il terzino atalantino,
reggendosi in piedi come un pilastro, devia la palla in fallo laterale.
Il pubblico applaude. Ormai
tutti intravedono il traguardo come una luce in fondo al tunnel. Un tunnel
durato 92 lunghissimi minuti.
L’ala bianconera si appresta
a battere la rimessa laterale.
Ma accade l’impensabile.
Il calciatore si braccia. Nella
foga, tra i cori di giubilo dei tifosi atalantini, nessuno riesce a sentirlo o
a capire cosa stia accadendo. Da lontano i compagni lo guardano interdetti.
I cori dei tifosi orobici si
spezzano, tramutandosi in fischi.
I calciatori orobici,
furiosi, accorrono nei pressi della linea laterale.
Arriva anche l’arbitro.
Sopraggiungono anche gli
altri bianconeri.
Sembra un terzo tempo.Ma non
è così. Nessun triplice fischio ha decretato la fine della partita.
Mancano ancora altri 2
minuti, che intanto continuano a scorrere.
Sotto un’ondata di fischi, i
calciatori accennano una rissa a bordo campo.
Tra strattoni e spinte,
l’arbitro è costretto a sdoppiarsi. Il corpo è impegnato a dividere i due
schieramenti con gesti fermi delle mani. Le labbra, invece, si accostano agli
auricolari per permettergli di consultarsi con i due guardalinee e il quarto
uomo.
I calciatori, compresi i
portieri, continuano a spintonarsi e a insultarsi senza capirci nulla.Intervengono anche gli
allenatori.
Le circostanze assumono
contorni surreali che rasentano il comico.
Dopo aver ricevuto comunicazione
della cosa, di voce in voce, i tifosi orobici festeggiano come se la partita
fosse finita. In cuor loro, anche i propri beniamini pensano la stessa cosa. Il
calciatori di casa, già da un bel po’, erano pronti a imboccare il tunnel che
conduce agli spogliatoi.
La partita si blocca in
un’atmosfera surreale.
I calciatori della Juventus
sono inviperiti. Loro, che fino a qualche minuto prima non credevano di avere
molte chance di pareggiare, sono i primi a scaldarsi contro l’arbitro. Quegli
ultimi 2 minuti di bronzo, come la triste medaglia di un terzo posto alle
Olimpiadi, per loro diventano oro colato. 2 minuti per un pareggio. Cosa che
per una squadra come la Juventus equivale a una sconfitta. Ma, per come è
andata la partita, i bianconeri la pensano diversamente.
L’allenatore della Juventus
non può farci nulla e si limita a dare indicazioni ai suoi, a rimproverarli per
il loro atteggiamento in campo e a spazientirsi per l’attesa sotto i 0 gradi.
Come suo solito, infatti, si era levato il cappotto a metà partita, avvampato
dalla cocente delusione dello svantaggio subito dalla sua squadra.
Il mister dell’Atalanta
invece sorride. Non ha nulla da dire ai suoi ragazzi, se non complimentarsi per
il risultato e per aver lottato fino a quel punto. Sorride e già si immagina
negli spogliatoi a festeggiare con loro. Lui, che è sempre stato un tipo pacato
nei toni, vorrebbe tanto scrollarsi di dosso tutta la tensione accumulata prima
e durante la gara. Anche perché, in caso di vittoria, la storia lo avrebbe
ricordato come uno dei pochi allenatori dell’Atalanta ad aver avuto il
privilegio di battere la Juventus.
Si cerca un pallone. E non
quello calciato chissà dove quando si è bambini e che magari non viene
restituito perché ha rotto una finestra. No, si cerca un pallone della Serie A.
Mancano anche quelli di riserva e ancora non si riprende a giocare.
Il tempo è sospeso in attimi
di ilarità, confusione e incredulità. Tutti attendono.
Il calciatori scherzano tra
loro, sfregano le mani per tenersi caldi e qualche panchinaro ancora si
riscalda. In effetti, la Juventus oltre a quei 2 minuti di recupero ha ancora
un cambio a disposizione. Ancora due carte giocare per pareggiare una partita,
che sembrava aver preso una direzione inevitabile.
Manca un pallone. Come
risolvere la cosa?
Qualcuno solleva lo sguardo
al cielo, aspettando che la palla piova da un momento all’altro sul rettangolo
di gioco. Ma no, in realtà sta piovigginando. Non ci voleva, si aggiunge anche
questa. Bagnarsi sotto lo 0 in un’attesa spasmodica, soprattutto per i
bianconeri.
I nervi di alcuni calciatori
zebrati iniziano a dare segni di cedimento. Alcuni di loro iniziano a pensare
che sia il caso di chiuderla lì. Sono solo 3 punti. Gli unici persi in una
prima metà di stagione, in cui sono partiti alla grande, spediti verso l’ottavo
scudetto consecutivo.
Quelli orobici si vedono già
negli spogliatoi a festeggiare.
Alcuni tifosi continuano a
cantare, altri si scaldano come possono, tra una sigaretta e una chiacchierata
con i vicini, analizzando le azioni della partita o inveendo contro l’arbitro
per gli episodi dubbi, anticipando le classiche chiacchiere da moviola del
Lunedì.
L’arbitro rimane inchiodato a
bordo campo. Si guarda intorno spaesato, in cerca forse di un pallone, che
tarda ad arrivare.
I toni si smorzano. Si
scherza, si ride un po’ ovunque, come se la partita fosse davvero finita.
A un tratto, uno dei due
allenatori, quello bianconero, il più infuriato di tutti, si lancia contro
qualcuno alle spalle della panchina. Si tratta di un raccattapalle, esile e dai
radi capelli biondi, con uno zaino tra le braccia, da cui spunta uno spicchio
dorato. Il ragazzo se la ride. L’allenatore tenta di artigliare il pallone come
fa un leone con la propria preda. Ma il giovane sgattaiola via e corre a
perdifiato lungo il rettangolo di gioco. Alcuni calciatori, misti tra orobici e
bianconeri, inseguono l’improvvisato centometrista. Poi intervengono gli
steward, che lo bloccano al suolo, con placcaggi simultanei degni di un
giocatore di rugby. Nonostante tutto, il ragazzo continua a ridersela,
incurante delle conseguenze per il proprio gesto.
Tutti i presenti lo fissano
stupiti. Un semplice raccattapalle ha fatto dannare tutti in cerca di un
pallone, con conseguente sospensione della partita.
I tifosi bianconeri iniziano
a fischiare in direzione del ragazzo. Quelli orobici si rabbuiano; già
pregustavano la vittoria, in attesa solo del triplice fischio.
Poi, per i tifosi atalantini il
giovane raccattapalle diventa un eroe. Gli dedicano un coro, perché da solo è
riuscito ad ammazzare la partita e le speranze dei bianconeri. Per loro diventa
il simbolo di quella partita, della gioia provata dalla curva nerazzurra dopo
il 2-1.
Ma perché il raccattapalle ha
trattenuto il pallone?
Ma le motivazioni
del suo gesto vanno ricercate altrove.
Infatti, Stefano, questo è il
nome del giovane raccattapalle, oltre a assere un accanito scommettitore (forse
ha scommesso un bel po’ di soldi proprio sul 2-1 della propria squadra contro
la Juventus; il risultato del match esatto era quotato a più di 10) è anche un
assiduo giocatore di Fantacalcio (probabilmente il suo avversario di turno ha
schierato qualche calciatore della Juventus contro di lui). Tutte motivazioni
plausibili per manovrare il destino di una partita a proprio favore. Ma qual è
la verità? Il “neo-incoronato eroe” dei tifosi atalantini coltiva la propria
passione per il calcio a 360 gradi. Infatti, pur essendo un po’ cresciuto per
certe cose, colleziona anche le figurine dei calciatori, della Panini, completando
sempre il rispettivo almanacco annuale. E, tra le figurine che ancora non è riuscito
a trovare, c’è proprio quella di un calciatore della Juventus. La continua
ricerca di quella figurina lo ha sfinito, portandolo a compiere quel gesto
estremo davanti a 20.000 spettatori, per la cui metà è già diventato un eroe.
Una figurina. È bastato poco per scatenare un turbinio di emozioni contrastanti
all’interno dei due schieramenti avversari. Per Stefano quella figurina era
diventata un miraggio, quasi un sogno, come quella partita che la sua squadra
del cuore sta vincendo contro la blasonata Juventus.
Il raccattapalle che ha
fermato il tempo è pronto a diventare una leggenda, che si tramanderà negli anni
a venire. Pronto a essere il simbolo del calcio. Quello bello, semplice e
pulito, in cui tutto si ferma per una partita. Che sia quella giocata nel campetto
dell’oratorio o quella di serie A. Non cambia nulla. Il calcio sospende le vite
degli appassionati tra realtà e sogno, come un equilibrista su un filo sottile.
Dopo questo fatto increscioso,
anche assurdo per circostanze e motivazioni, le figurine tornano a schierarsi
in campo e a prendere vita nel tempo, per quegli ultimi 2 minuti di recupero
L’arbitro scodella il pallone
nella zona di campo in cui aveva interrotto il gioco.
Lo spettacolo deve
continuare.
E continua!
Come è finita la partita?
Non c’è limite ai possibili
pronostici per un tempo esiguo, ma allo stesso tempo infinito, che torna a
scandire la passione di tutti i presenti allo stadio. Dai tifosi ai calciatori.
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